Intorno alla fine del mese scorso un’operazione condotta dai caribinieri del Noe (Nucleo Operativo Ecologico) e dalla Guardia di Finanza di Napoli, con la coordinazione della procura della Repubblica di Napoli, ha portato in manette diverse figure di spicco. Marta Di Gennaro, ex vice di Guido Bertolaso alla Protezione Civile, il prefetto Corrado Catenacci, ex commissario ai rifiuti della Regione Campania, e Gianfranco Mascazzini, ex direttore generale del Ministero dell’Ambiente, sono stati arrestati ed infine relegati agli arresti domiciliari con le accuse di associazione per delinquere, truffa e reati ambientali. Sono finiti invece in carcere Lionello Serva, ex sub-commissario per i rifiuti della Regione Campania, Claudio Di Biasio, tecnico degli impianti del Commissariato, Generoso Schiavone, responsabile della Gestione acque per i depuratori della Regione Campania e Mario Lupacchini, dirigente del settore Ecologia della Regione. A questi si sono aggiunte altri 12 personaggi implicati anch’essi nella stessa vicenda.
I fatti accertati sono stati i seguenti: sversamento in mare di percolato, non trattato nei depuratori seconda le norme vigenti, come conseguenza di un accordo illecito tra pubblici funzionari e gestori di impianti di depurazione campani.
Il percolato è una sostanza di natura liquida prodotta dall’infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi. Si può generare, in misura minore, anche attraverso la progressiva compattazione dei rifiuti. Il colore è bruno variabile a seconda della concentrazione, la concentrazione è più o meno viscosa e l’odore si può definire stagnante ed in generale assolutamente sgradevole. Viene generato nelle discariche e può contenere, in percentuali più o meno elevate, inquinanti di tipo organico ed inorganico derivanti appunto dal trattamento dei rifiuti nelle discariche stesse. In questi stabilimenti, per limitarne sensibilmente l’aspetto contaminante, il percolato deve essere “catturato” e lavorato oppure trasportato in impianti a norma autorizzati allo smaltimento di rifiuti liquidi. In entrambi i casi è necessario comunque un ulteriore “sforzo” economico che in molti casi si preferisce evitare optando per una parsimoniosa cancellazione o dispersione del materiale in oggetto.
L’indagine che ha portato al sequestro di diverse documentazioni è meglio conosciuta come “Operazione Rompiballe” che ha avuto inizio nel maggio 2008 e fine nel luglio 2010. Durante questo periodo svariate sedi istituzionali, come la Prefettura di Napoli, la Regione Campania e la Protezione civile di Roma, sono state tenute sotto stretto controllo attraverso attività tecniche e riscontri documentali che hanno portato alla luce particolari inquietanti. Sono stati chiamati in giudizio ex uomini politici, professori universitari, dirigenti della pubblica amministrazione e tecnici delle strutture commissariali che si sono avvicendati al Commissariato per l’emergenza rifiuti della Regione Campania dal 2006 al 2008. Queste persone hanno concorso all’utilizzo di impianti per la depurazione delle acque reflue della regione Campania contribuendo all’inquinamento di parte della costa campana, dal Salernitano al Casertano.
Tutto quindi ha avuto unizio (fiduciosi del passato…) con l’emergenza rifiuti della Regione Campania e l’idea che, nel corso degli anni successivi all’apertura dell’indagini e al susseguirsi dei processi, numerose persone hanno continuato a trasgredire la legge in maniera impertinente, come un bambino a cui si nega un capriccio, è imbarazzante. E’ come dire: stiamo investigando per il furto di una matita e stiamo interrogando diverse persone a riguardo, nel frattempo le stesse ed altre continuano a rubare matite aggiungendo a queste penne, quaderni, astucci, gomme da cancellare etc, etc…
Facendo riferimento agli eventi dei primi di febbraio del 2011 per tutti i personaggi sopra menzionati sono stati applicati, al massimo della pena, gli arresti domiciliari o il divieto di esercitare l’attività professionale. In particolare Marta Di Gennaro e Corrado Catenacci sono tornati in libertà ricoprendo rispettivamente la posizione di responsabile per la provincia di Napoli ed assessore esterno a Positano in costiera amalfitana. La causa di questo infausto finale è stata la mancanza di esigenze cautelari poichè nessuno riveste attualmente incarichi pubblici.